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giovedì 20 dicembre 2012

SIX STRING

La chitarra è lo strumento che di gran lunga preferisco. Ho cercato di imparare a suonarla, ma a parte le 2 o 3 lezioni prese, è sempre stato uno strimpellare ad orecchio o un pizzicare le corde guardando quei libroni pieni di canzoni con gli accordi di base spalmati sugli spartiti con le parole suddivise dal trattino, che, manco a dirlo, creavano quell’effetto di “saltellamento” che aggiustava tutto, anche gli accordi eventualmente omessi.
Ricordo che la prima cosa che imparai fu accordare la chitarra, o almeno provare a farlo. Il diapason mi sembrava una bacchetta magica, e l’ampiezza del La+ era l’unica mia ragione di vita.
Accordare le sei corde della chitarra non è semplice, è macchinoso e soprattutto soggettivo: dipende dall’orecchio che ognuno ha.
Accordare sei patiti per la corsa e pizzicarli per far si che le note suonate non “saltellino” è stato sicuramente più semplice. Complice Carlo, con il suo “dannatissimo” amato brand, la spedizione per la Pisa HalfMarathon è stata portata a termine con estrema soddisfazione.
In realtà la chitarra podistica ne aveva otto di corde, come le migliori delle Ibanez, ma ahimè due se ne sono “rotte” J. E così siamo passati ad una Fender, graffiante, compatta, rigorosamente bianca e nera, come le nostre canotte.
La reunion è avvenuta la sera del 15 dicembre nella via più bella e commerciale di Pisa, affollata di gente intenta a comprare i regali per Natale. L’atmosfera magica delle luci colorate ha reso l’incontro ancor più caldo: i quattro “grottagliesi”, reduci da un pranzo luculliano gentilmente “scroccato”, si sono incontrati con l’oriundo “monteiasino” giunto lì dalla vicina Livorno, e con la eurasiatica Alessia, appena sbarcata dal volo intercontinentale.
Naturalmente cos’è che accomuna più di tutto noi italiani? Ma il cibo naturalmente.
Una splendida location fronte torre pendente per una pizza ed una birra indimenticabili, cecina compresa. Si parla di esperienze inerenti la corsa, delle migliorie che l’ultima scarpa ha portato, dei tempi, dei modi di correre…. Insomma, non c’è tensione per la gara del giorno dopo. C’è solo la voglia di partecipare insieme ad un evento bello e gratificante come correre la mezzamaratona in una bella città come Pisa.
Al mattino siamo pronti: a parte le mie “mezze maniche” ed il “plastic-jacket” del keniota, tutto è nella norma. Il tempo è ok, la temperatura apprezzabile.
Decido di correre a ritmo lento, complice anche l’intensa preparazione per la Roma Marathon, per potermi godere di più lo scenario e poter scattare qualche foto ai ragazzi. Anzi quasi a tutti i ragazzi: Barty parte alla grande, ed il suo tempo finale gli da ragione. Anthony lo becco all’inizio ma poi spinto dalla voglia di arrivarmi davanti, parte a razzo e nn ci aspetta più.
Rimango a stretto contatto con Alessia e Rita. Provo ad attendere Carlo ma dopo 2 minuti abbondanti fermo ad aspettarlo decido che forse è meglio tornare dalle ragazze. Comincio una lunga ripetuta da 2 km a 3’45’’ e, nonostante la stretta corsia, riesco a raggiungerle.
Passiamo la zona ibrida tra macchine in moto e case per entrare finalmente in una zona tranquilla ed alberata. Saranno state le lunghe camminate della sera prima o la ripetuta fatta, comincio ad avere un bruciore sotto la pianta del piede. Mi spaventa il fatto che possa essere un inizio di fascite plantare: la preparazione per Roma è ancora all’inizio. Continuo a “passo di corsa”, come dice il mio amico Haruki, cercando di non pensarci. Entriamo dentro Pisa: la vista dei km 37 – 38 e così via mi mette contemporaneamente vigore e panico. Vigore perché provo ad immaginare di essere li al 37° nello stato di forma corrispondente al mio 16°. Panico perché tra poco meno di due mesi toccherà davvero percorrere queste distanze. E sarà dura.
Ad un ristoro vedo del panettone e lo prendo, sempre al volo: capisco solo dopo che era per i maratoneti. La “dolce” signora, conseguentemente al mio gesto, mi apostrofa in un pisano puro le seguenti parole: “Tettu quelle mani te ce li possa fi’’are nel culoooo, maremma”. Ed io che il toscano lo capisco molto bene le rispondo gridando, essendo un po’ più avanti, “Mi scusi dolce signora”. Me la rido e per poco non mi affogo con quel panettone: sarà stata la makumba auguratami dalla loquace vecchina?
Siamo nel centro città. Ad un solo km dall’arrivo decido di staccarmi dal gruppo per posizionarmi sulla finish line e scattare qualche foto. Appena oltrepassata la linea mi mettono al collo la medaglia: non so perché ma mi sento come se non me la fossi “guadagnata”. Mah.
Fatte le foto, ritiro lo zainetto e rivestitomi aspetto l’arrivo dei maratoneti. Il primo che arriva, chiude la maratona in sole 2h19’ e spiccioli…. Mi impressiona la velocità con cui arriva al traguardo: sembro io nelle ripetute da 200mt. Ma lui ne ha fatti 42195 mt: e sembra sereno!!!!
Il secondo è, con immenso piacere, un italiano. Non lo conosco ma gli grido addosso tutta la mia stima.
Da li in poi arriveranno alla spicciolata tutti. Decido che è meglio farsi una doccia bollente.
Il pranzo a seguire è stato ragguardevole: fiumi di birra e specialità toscane. Il tutto in ottima compagnia naturalmente.
E' il momento dei saluti. C'è in noi la consapevolezza di aver vissuto un momento magico, ognuno per le proprie ragioni.
E come un corpo investito dalla luce di una candela, che alterna zone di chiaro scuro a seconda dello sventolio della fiamma, così il nostro congedo da Pisa è stato dolce e profondo.
E' cresciuta in noi la consapevolezza di essere un gruppo unito, una six string (una chitarra sei corde) che, suonata da un ipotetico musicista chiamato "Passione", ha vibrato all'unisono, diffondendo nell'animo vibrazioni toccanti ed indimenticabili.
Grazie ragazzi. Vi voglio bene.